Stamane nel programma di Unomattina in studio un oncologo di nome Umberto Tirelli da Aviano dichiarava che gli inceneritori non presentano rischi per la salute....
Alle 12:40 su RAI2 nel programma di Magalli, invitata Orsola Cannavacciuolo, figlia del pastore di Acerra, ormai deceduto per tumore a causa della diossina per raccontare la storia della sua famiglia e della sua azienda agricola.
Molte omissioni dei controlli veterinari e delle ASL finalizzate a nascondere la verità sui rifiuti tossici scaricati nel sottosuolo.
L' ingenua ragazza, emotivamente provata, si lascia sfuggire testualmente "non siamo contrari all' inceneritore ..." senza sapere che l' inceneritore dove esiste e funziona "correttamente" vedi Brescia per esempio produce la stessa mortalità da tumore...
giovedì 31 gennaio 2008
martedì 29 gennaio 2008
Disordini a Marigliano contro De Gennaro
Di fuoco la mattinata del 29 gennaio nell'area antistante la zona dei depuratori, dove, stando al piano deciso dal commissario Gianni De Gennaro, per fare fronte all'emergenza rifiuti deve essere allestito un sito di stoccaggio provvisorio di 98mila tonnellate di rifiuti indifferenziati.
Arrivato l'ordine di preparare l'allestimento dell'area per raccogliere le immondizie, del personale si è recato nell'area di Bosco Fangone. Niente da fare. I manifestanti non hanno consentito che passassero per la ferma resistenza dei cittadini.
E' partita una prima carica delle forze dell'ordine, già presenti massicciamente . Non mancano, infatti, sul sito Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza, in assetto antisommossa. Ci sarebbero dei feriti pare sei, tra cui un bambino di otto anni di Marigliano, tutti finiti in ospedale.
Tra un lancio di pietre e l'altro, stando a prime notizie, c'è stato anche un tentativo di alcune persone di forzare un cancello di ingresso del perimetro dei depuratori con un tempestivo, intervento delle forze dell'ordine. Nonostante le proteste, un escavatore sarebbe, comunque, riuscito a passare, ma la protesta continua.
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martedì 22 gennaio 2008
dal dott. Marfella al Governatore del Veneto, sul presunto danno di immagine causato a Venezia da Napoli
Gent.mo dott. Galan,
sono il dottore Antonio Marfella, il medico di Napoli presente in Studio a Porta a Porta nella puntata dello scorso 10 gennaio 2008.
Le sono molto grato e riconoscente per quanto ha dichiarato e trasmesso con il suo sorriso ed il suo comportamento nel corso della puntata.
Oltre l’80% della comunicazione tra noi esseri umani non dipende dalle parole , ma da atteggiamenti e comportamenti, ed il suo sorriso , di Governatore felice di una Regione che non vive i disastri sanitari della Campania, è perfettamente motivato, giusto, illuminante e indica molto di più di un semplice buon governo.
Lei sa perfettamente che non è possibile smaltire correttamente le cosiddette ecoballe o altro materiale indifferenziato delle nostre discariche perché risulterebbero tossiche e gravemente inquinanti presso qualunque impianto finale. Come mai , se essi sono dei semplici rifiuti solidi urbani sia pure indifferenziati? Il suo sorriso e il suo comportamento sono la piu’ luminosa risposta a questa domanda. Lei aveva lo stesso sorriso tronfio e soddisfatto dei nostri truffatori di Forcella.
A Napoli si dice “fare il paccotto”: nel nostro piccolo, il truffatore si arrangia vendendo al turista sprovveduto la videocamera ultimo modello a prezzo stracciato che però poi risulta fatta di cartongesso, materiale che certo non funziona come videocamera, non di pregio, ma certamente non tossico.
Il suo sorriso, bellissimo, videogenico , era splendente come il sole a confronto dei miei occhi lucidi e del mio viso teso e rigonfio di rabbia e di dolore, esattamente come il viso di qualunque turista sprovveduto che ha subito il “paccotto” , e che non solo ha perso dei soldi, ma che soprattutto non puo’ denunciare la truffa perche’ risulterebbe colpevole di ricettazione. Complimenti, Signor Governatore, tutto fila secondo le sue luminose e redditizie intenzioni, ad oggi ancora noi in Campania ci prendiamo da venti anni il vostro “paccotto” di rifiuti tossici industriali e non possiamo neanche denunciarlo perché siamo colpevoli di omesso controllo preventivo.Il tutto viene sommerso dalla massa informe dei nostri rifiuti urbani indifferenziati con la rabbia del truffato che brucia i cassonetti e quindi fa diossina, e si coprono così, con altri reati, le prove del delitto madre di tutti i nostri mali: lo smaltimento illecito dei vostri rifiuti industriali.
Ma vede, Signor Governatore, a me non importa di essere denunciato a mia volta come allarmista e ricettatore, pur di fare incastrare il vero truffatore perche’, Signor Governatore, qui non stiamo più parlando di cartongesso, ma di diossina. Siamo venuti anche in Veneto a fare le nostre indagini e le nostre analisi e , presso il vostro ottimo laboratorio di analisi chimiche di Porto Marghera del Prof. Raccanelli, a cominciare dal nostro primo “incursore”, il Parà Colonnello Gimapiero Angeli, abbiamo cominciato a raccogliere le prove che non solo quantitativamente ma soprattutto qualitativamente abbiamo lo stesso profilo di sostanze diossino-simili dei dipendenti di Porto Marghera.
Il nostro colonnello, guarda caso, non si è mai spostato da oltre venti anni al di sopra del Garigliano ma la inchiesta ormai conclusa Terra Mia , condotta dalla Procura di S. Maria Capua Vetere, ha dimostrato, a poco più di 500 metri in linea d’aria da casa sua, lo smaltimento illecito di migliaia di tonnellate di fanghi tossici provenienti (guarda un pò) da Porto Marghera. Cio’ che non ha potuto il sangue dei nostri eroi del Risorgimento, lo ha potuto la munnezza, Signor Governatore. Grazie al vostro “paccotto”, ora non c’e’ piu’ nessuna differenza tra il nostro sangue e quello dei vostri concittadini del nord , se non per quantità assoluta della stessa munnezza, e anche su questo convengo con lei: siamo un “popolo di munnezza” più di voi!
Questo cominciano a dirmi le mie analisi sul sangue. Sarebbe stato certo meglio, e anche in questo convengo con voi, se avessimo messo noi quel famoso muro ad Ancona con tanto di dogana.
Almeno venti milioni di tonnellate di munnezza tossica industriale sarebbe rimasta a nord di quel muro , a “equiparare” ,anche in termini quantitativi, la munnezza nel sangue dei nostri cittadini. Purtroppo , il “paccotto” è riuscito benissimo e lei ha perfettamente ragione: a che titolo e diritto urliamo al ladro? Moriamo in silenzio, e possibilmente senza dare fastidio, sotto la nostra munnezza. Anche perchè cosi la nostra munnezza ordinaria puo’ continuare ad essere ben rimpinzata della vostra industriale… Siamo stati e continuiamo ad essere dei fessi, ce lo dobbiamo tenere e risolvere da noi il problema dei nostri soldi buttati , senza piangere in giro: ha perfettamente ragione!
Ma le assicuro, Signor Governatore, noi napoletani (e io per primo…) stiamo studiando, stiamo pensando e le stiamo preparando magari anche solo un semplice striscione allo stadio come accadde quando dovevamo rispondere in modo adeguato agli insulti degli ultras di Verona nella partita di ritorno ma senza fare squalificare lo stadio San Paolo. Fu srotolato un solo ed unico grande striscione senza alcuna indicazione di colore o di squadra:
“Giulietta è ‘na zoccola!” e il San Paolo non fu squalificato…
A presto rivederla, Signor Governatore, magari allo stadio.
Napoli, li 10 gennaio 2008
Antonio Marfella
Tossicologo Oncologo
Difensore Civico delle Assise di Palazzo Marigliano
di Napoli e del Mezzogiorno di Italia
sono il dottore Antonio Marfella, il medico di Napoli presente in Studio a Porta a Porta nella puntata dello scorso 10 gennaio 2008.
Le sono molto grato e riconoscente per quanto ha dichiarato e trasmesso con il suo sorriso ed il suo comportamento nel corso della puntata.
Oltre l’80% della comunicazione tra noi esseri umani non dipende dalle parole , ma da atteggiamenti e comportamenti, ed il suo sorriso , di Governatore felice di una Regione che non vive i disastri sanitari della Campania, è perfettamente motivato, giusto, illuminante e indica molto di più di un semplice buon governo.
Lei sa perfettamente che non è possibile smaltire correttamente le cosiddette ecoballe o altro materiale indifferenziato delle nostre discariche perché risulterebbero tossiche e gravemente inquinanti presso qualunque impianto finale. Come mai , se essi sono dei semplici rifiuti solidi urbani sia pure indifferenziati? Il suo sorriso e il suo comportamento sono la piu’ luminosa risposta a questa domanda. Lei aveva lo stesso sorriso tronfio e soddisfatto dei nostri truffatori di Forcella.
A Napoli si dice “fare il paccotto”: nel nostro piccolo, il truffatore si arrangia vendendo al turista sprovveduto la videocamera ultimo modello a prezzo stracciato che però poi risulta fatta di cartongesso, materiale che certo non funziona come videocamera, non di pregio, ma certamente non tossico.
Il suo sorriso, bellissimo, videogenico , era splendente come il sole a confronto dei miei occhi lucidi e del mio viso teso e rigonfio di rabbia e di dolore, esattamente come il viso di qualunque turista sprovveduto che ha subito il “paccotto” , e che non solo ha perso dei soldi, ma che soprattutto non puo’ denunciare la truffa perche’ risulterebbe colpevole di ricettazione. Complimenti, Signor Governatore, tutto fila secondo le sue luminose e redditizie intenzioni, ad oggi ancora noi in Campania ci prendiamo da venti anni il vostro “paccotto” di rifiuti tossici industriali e non possiamo neanche denunciarlo perché siamo colpevoli di omesso controllo preventivo.Il tutto viene sommerso dalla massa informe dei nostri rifiuti urbani indifferenziati con la rabbia del truffato che brucia i cassonetti e quindi fa diossina, e si coprono così, con altri reati, le prove del delitto madre di tutti i nostri mali: lo smaltimento illecito dei vostri rifiuti industriali.
Ma vede, Signor Governatore, a me non importa di essere denunciato a mia volta come allarmista e ricettatore, pur di fare incastrare il vero truffatore perche’, Signor Governatore, qui non stiamo più parlando di cartongesso, ma di diossina. Siamo venuti anche in Veneto a fare le nostre indagini e le nostre analisi e , presso il vostro ottimo laboratorio di analisi chimiche di Porto Marghera del Prof. Raccanelli, a cominciare dal nostro primo “incursore”, il Parà Colonnello Gimapiero Angeli, abbiamo cominciato a raccogliere le prove che non solo quantitativamente ma soprattutto qualitativamente abbiamo lo stesso profilo di sostanze diossino-simili dei dipendenti di Porto Marghera.
Il nostro colonnello, guarda caso, non si è mai spostato da oltre venti anni al di sopra del Garigliano ma la inchiesta ormai conclusa Terra Mia , condotta dalla Procura di S. Maria Capua Vetere, ha dimostrato, a poco più di 500 metri in linea d’aria da casa sua, lo smaltimento illecito di migliaia di tonnellate di fanghi tossici provenienti (guarda un pò) da Porto Marghera. Cio’ che non ha potuto il sangue dei nostri eroi del Risorgimento, lo ha potuto la munnezza, Signor Governatore. Grazie al vostro “paccotto”, ora non c’e’ piu’ nessuna differenza tra il nostro sangue e quello dei vostri concittadini del nord , se non per quantità assoluta della stessa munnezza, e anche su questo convengo con lei: siamo un “popolo di munnezza” più di voi!
Questo cominciano a dirmi le mie analisi sul sangue. Sarebbe stato certo meglio, e anche in questo convengo con voi, se avessimo messo noi quel famoso muro ad Ancona con tanto di dogana.
Almeno venti milioni di tonnellate di munnezza tossica industriale sarebbe rimasta a nord di quel muro , a “equiparare” ,anche in termini quantitativi, la munnezza nel sangue dei nostri cittadini. Purtroppo , il “paccotto” è riuscito benissimo e lei ha perfettamente ragione: a che titolo e diritto urliamo al ladro? Moriamo in silenzio, e possibilmente senza dare fastidio, sotto la nostra munnezza. Anche perchè cosi la nostra munnezza ordinaria puo’ continuare ad essere ben rimpinzata della vostra industriale… Siamo stati e continuiamo ad essere dei fessi, ce lo dobbiamo tenere e risolvere da noi il problema dei nostri soldi buttati , senza piangere in giro: ha perfettamente ragione!
Ma le assicuro, Signor Governatore, noi napoletani (e io per primo…) stiamo studiando, stiamo pensando e le stiamo preparando magari anche solo un semplice striscione allo stadio come accadde quando dovevamo rispondere in modo adeguato agli insulti degli ultras di Verona nella partita di ritorno ma senza fare squalificare lo stadio San Paolo. Fu srotolato un solo ed unico grande striscione senza alcuna indicazione di colore o di squadra:
“Giulietta è ‘na zoccola!” e il San Paolo non fu squalificato…
A presto rivederla, Signor Governatore, magari allo stadio.
Napoli, li 10 gennaio 2008
Antonio Marfella
Tossicologo Oncologo
Difensore Civico delle Assise di Palazzo Marigliano
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mercoledì 16 gennaio 2008
La Sapienza negata dall' insipienza giacobina (il discorso negato del Papa Ratzinger nella università di Roma)
COSA DEVE DIRE UN PAPA IN UNIVERSITA'?
Magnifico Rettore, Autorità politiche e civili, Illustri docenti e personale tecnico amministrativo, cari giovani studenti!
È per me motivo di profonda gioia incontrare la comunità della "Sapienza - Università di Roma" in occasione della inaugurazione dell’anno accademico. Da secoli ormai questa Università segna il cammino e la vita della città di Roma, facendo fruttare le migliori energie intellettuali in ogni campo del sapere. Sia nel tempo in cui, dopo la fondazione voluta dal Papa Bonifacio VIII, l’istituzione era alle dirette dipendenze dell’Autorità ecclesiastica, sia successivamente quando lo Studium Urbis si è sviluppato come istituzione dello Stato italiano, la vostra comunità accademica ha conservato un grande livello scientifico e culturale, che la colloca tra le più prestigiose università del mondo.
Da sempre la Chiesa di Roma guarda con simpatia e ammirazione a questo centro universitario, riconoscendone l’impegno, talvolta arduo e faticoso, della ricerca e della formazione delle nuove generazioni. Non sono mancati in questi ultimi anni momenti significativi di collaborazione e di dialogo. Vorrei ricordare, in particolare, l’Incontro mondiale dei Rettori in occasione del Giubileo delle Università, che ha visto la vostra comunità farsi carico non solo dell’accoglienza e dell’organizzazione, ma soprattutto della profetica e complessa proposta della elaborazione di un "nuovo umanesimo per il terzo millennio".
Mi è caro, in questa circostanza, esprimere la mia gratitudine per l’invito che mi è stato rivolto a venire nella vostra università per tenervi una lezione. In questa prospettiva mi sono posto innanzitutto la domanda: che cosa può e deve dire un Papa in un’occasione come questa? Nella mia lezione a Ratisbona ho parlato, sì, da Papa, ma soprattutto ho parlato nella veste del già professore di quella mia università, cercando di collegare ricordi ed attualità. Nell’università "Sapienza", l’antica università di Roma, però, sono invitato proprio come Vescovo di Roma, e perciò debbo parlare come tale.
Certo, la "Sapienza" era un tempo l’università del Papa, ma oggi è un’università laica con quell’autonomia che, in base al suo stesso concetto fondativo, ha fatto sempre parte della natura di università, la quale deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità. Nella sua libertà da autorità politiche ed ecclesiastiche l’università trova la sua funzione particolare, proprio anche per la società moderna, che ha bisogno di un’istituzione del genere.
Ritorno alla mia domanda di partenza: Che cosa può e deve dire il Papa nell’incontro con l’università della sua città? Riflettendo su questo interrogativo, mi è sembrato che esso ne includesse due altri, la cui chiarificazione dovrebbe condurre da sé alla risposta.
Bisogna, infatti, chiedersi: Qual è la natura e la missione del Papato? E ancora: Qual è la natura e la missione dell’università? Non vorrei in questa sede trattenere Voi e me in lunghe disquisizioni sulla natura del Papato. Basti un breve accenno. Il Papa è anzitutto Vescovo di Roma e come tale, in virtù della successione all’Apostolo Pietro, ha una responsabilità episcopale nei riguardi dell’intera Chiesa cattolica. La parola "vescovo"– episkopos, che nel suo significato immediato rimanda a "sorvegliante" – già nel Nuovo Testamento è stata fusa insieme con il concetto biblico di Pastore: egli è colui che, da un punto di osservazione sopraelevato, guarda all’insieme, prendendosi cura del giusto cammino e della coesione dell’insieme. In questo senso, tale designazione del compito orienta lo sguardo anzitutto verso l’interno della comunità credente. Il Vescovo – il Pastore – è l’uomo che si prende cura di questa comunità; colui che la conserva unita mantenendola sulla via verso Dio, indicata secondo la fede cristiana da Gesù – e non soltanto indicata: Egli stesso è per noi la via. Ma questa comunità della quale il Vescovo si prende cura – grande o piccola che sia – vive nel mondo; le sue condizioni, il suo cammino, il suo esempio e la sua parola influiscono inevitabilmente su tutto il resto della comunità umana nel suo insieme. Quanto più grande essa è, tanto più le sue buone condizioni o il suo eventuale degrado si ripercuoteranno sull’insieme dell’umanità. Vediamo oggi con molta chiarezza, come le condizioni delle religioni e come la situazione della Chiesa – le sue crisi e i suoi rinnovamenti – agiscano sull’insieme dell’umanità. Così il Papa, proprio come Pastore della sua comunità, è diventato sempre di più anche una voce della ragione etica dell’umanità.
Qui, però, emerge subito l’obiezione, secondo cui il Papa, di fatto, non parlerebbe veramente in base alla ragione etica, ma trarrebbe i suoi giudizi dalla fede e per questo non potrebbe pretendere una loro validità per quanti non condividono questa fede. Dovremo ancora ritornare su questo argomento, perché si pone qui la questione assolutamente fondamentale: Che cosa è la ragione? Come può un’affermazione – soprattutto una norma morale – dimostrarsi "ragionevole"? A questo punto vorrei per il momento solo brevemente rilevare che John Rawls, pur negando a dottrine religiose comprensive il carattere della ragione "pubblica", vede tuttavia nella loro ragione "non pubblica" almeno una ragione che non potrebbe, nel nome di una razionalità secolaristicamente indurita, essere semplicemente disconosciuta a coloro che la sostengono. Egli vede un criterio di questa ragionevolezza fra l’altro nel fatto che simili dottrine derivano da una tradizione responsabile e motivata, in cui nel corso di lunghi tempi sono state sviluppate argomentazioni sufficientemente buone a sostegno della relativa dottrina. In questa affermazione mi sembra importante il riconoscimento che l’esperienza e la dimostrazione nel corso di generazioni, il fondo storico dell’umana sapienza, sono anche un segno della sua ragionevolezza e del suo perdurante significato. Di fronte ad una ragione a-storica che cerca di autocostruirsi soltanto in una razionalità a-storica, la sapienza dell’umanità come tale - la sapienza delle grandi tradizioni religiose - è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee.
Ritorniamo alla domanda di partenza. Il Papa parla come rappresentante di una comunità credente, nella quale durante i secoli della sua esistenza è maturata una determinata sapienza della vita; parla come rappresentante di una comunità che custodisce in sé un tesoro di conoscenza e di esperienza etiche, che risulta importante per l’intera umanità: in questo senso parla come rappresentante di una ragione etica.
Ma ora ci si deve chiedere: E che cosa è l’università? Qual è il suo compito? È una domanda gigantesca alla quale, ancora una volta, posso cercare di rispondere soltanto in stile quasi telegrafico con qualche osservazione. Penso si possa dire che la vera, intima origine dell’università stia nella brama di conoscenza che è propria dell’uomo. Egli vuol sapere che cosa sia tutto ciò che lo circonda. Vuole verità. In questo senso si può vedere l’interrogarsi di Socrate come l’impulso dal quale è nata l’università occidentale. Penso ad esempio - per menzionare soltanto un testo - alla disputa con Eutifrone, che di fronte a Socrate difende la religione mitica e la sua devozione. A ciò Socrate contrappone la domanda: "Tu credi che fra gli dei esistano realmente una guerra vicendevole e terribili inimicizie e combattimenti … Dobbiamo, Eutifrone, effettivamente dire che tutto ciò è vero?" (6 b - c). In questa domanda apparentemente poco devota - che, però, in Socrate derivava da una religiosità più profonda e più pura, dalla ricerca del Dio veramente divino - i cristiani dei primi secoli hanno riconosciuto se stessi e il loro cammino. Hanno accolto la loro fede non in modo positivista, o come la via d’uscita da desideri non appagati; l’hanno compresa come il dissolvimento della nebbia della religione mitologica per far posto alla scoperta di quel Dio che è Ragione creatrice e al contempo Ragione-Amore.
Per questo, l’interrogarsi della ragione sul Dio più grande come anche sulla vera natura e sul vero senso dell’essere umano era per loro non una forma problematica di mancanza di religiosità, ma faceva parte dell’essenza del loro modo di essere religiosi. Non avevano bisogno, quindi, di sciogliere o accantonare l’interrogarsi socratico, ma potevano, anzi, dovevano accoglierlo e riconoscere come parte della propria identità la ricerca faticosa della ragione per raggiungere la conoscenza della verità intera. Poteva, anzi doveva così, nell’ambito della fede cristiana, nel mondo cristiano, nascere l’università.
È necessario fare un ulteriore passo. L’uomo vuole conoscere - vuole verità. Verità è innanzitutto una cosa del vedere, del comprendere, della theoría, come la chiama la tradizione greca. Ma la verità non è mai soltanto teorica. Agostino, nel porre una correlazione tra le Beatitudini del Discorso della Montagna e i doni dello Spirito menzionati in Isaia 11, ha affermato una reciprocità tra "scientia" e "tristitia": il semplice sapere, dice, rende tristi. E di fatto - chi vede e apprende soltanto tutto ciò che avviene nel mondo, finisce per diventare triste.
Ma verità significa di più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene. Questo è anche il senso dell’interrogarsi socratico: Qual è quel bene che ci rende veri? La verità ci rende buoni, e la bontà è vera: è questo l’ottimismo che vive nella fede cristiana, perché ad essa è stata concessa la visione del Logos, della Ragione creatrice che, nell’incarnazione di Dio, si è rivelata insieme come il Bene, come la Bontà stessa.
Nella teologia medievale c’è stata una disputa approfondita sul rapporto tra teoria e prassi, sulla giusta relazione tra conoscere ed agire - una disputa che qui non dobbiamo sviluppare. Di fatto l’università medievale con le sue quattro Facoltà presenta questa correlazione. Cominciamo con la Facoltà che, secondo la comprensione di allora, era la quarta, quella di medicina. Anche se era considerata più come "arte" che non come scienza, tuttavia, il suo inserimento nel cosmo dell’universitas significava chiaramente che era collocata nell’ambito della razionalità, che l’arte del guarire stava sotto la guida della ragione e veniva sottratta all’ambito della magia. Guarire è un compito che richiede sempre più della semplice ragione, ma proprio per questo ha bisogno della connessione tra sapere e potere, ha bisogno di appartenere alla sfera della ratio.
Inevitabilmente appare la questione della relazione tra prassi e teoria, tra conoscenza ed agire nella Facoltà di giurisprudenza. Si tratta del dare giusta forma alla libertà umana che è sempre libertà nella comunione reciproca: il diritto è il presupposto della libertà, non il suo antagonista.
Ma qui emerge subito la domanda: Come s’individuano i criteri di giustizia che rendono possibile una libertà vissuta insieme e servono all’essere buono dell’uomo? A questo punto s’impone un salto nel presente: è la questione del come possa essere trovata una normativa giuridica che costituisca un ordinamento della libertà, della dignità umana e dei diritti dell’uomo.
È la questione che ci occupa oggi nei processi democratici di formazione dell’opinione e che al contempo ci angustia come questione per il futuro dell’umanità. Jürgen Habermas esprime, a mio parere, un vasto consenso del pensiero attuale, quando dice che la legittimità di una carta costituzionale, quale presupposto della legalità, deriverebbe da due fonti: dalla partecipazione politica egualitaria di tutti i cittadini e dalla forma ragionevole in cui i contrasti politici vengono risolti. Riguardo a questa "forma ragionevole" egli annota che essa non può essere solo una lotta per maggioranze aritmetiche, ma che deve caratterizzarsi come un "processo di argomentazione sensibile alla verità" (wahrheitssensibles Argumentationsverfahren). È detto bene, ma è cosa molto difficile da trasformare in una prassi politica. I rappresentanti di quel pubblico "processo di argomentazione" sono - lo sappiamo - prevalentemente i partiti come responsabili della formazione della volontà politica. Di fatto, essi avranno immancabilmente di mira soprattutto il conseguimento di maggioranze e con ciò baderanno quasi inevitabilmente ad interessi che promettono di soddisfare; tali interessi però sono spesso particolari e non servono veramente all’insieme. La sensibilità per la verità sempre di nuovo viene sopraffatta dalla sensibilità per gli interessi. Io trovo significativo il fatto che Habermas parli della sensibilità per la verità come di elemento necessario nel processo di argomentazione politica, reinserendo così il concetto di verità nel dibattito filosofico ed in quello politico.
Ma allora diventa inevitabile la domanda di Pilato: Che cos’è la verità? E come la si riconosce? Se per questo si rimanda alla "ragione pubblica", come fa Rawls, segue necessariamente ancora la domanda: Che cosa è ragionevole? Come una ragione si dimostra ragione vera? In ogni caso, si rende in base a ciò evidente che, nella ricerca del diritto della libertà, della verità della giusta convivenza devono essere ascoltate istanze diverse rispetto a partiti e gruppi d’interesse, senza con ciò voler minimamente contestare la loro importanza. Torniamo così alla struttura dell’università medievale. Accanto a quella di giurisprudenza c’erano le Facoltà di filosofia e di teologia, a cui era affidata la ricerca sull’essere uomo nella sua totalità e con ciò il compito di tener desta la sensibilità per la verità. Si potrebbe dire addirittura che questo è il senso permanente e vero di ambedue le Facoltà: essere custodi della sensibilità per la verità, non permettere che l’uomo sia distolto dalla ricerca della verità. Ma come possono esse corrispondere a questo compito? Questa è una domanda per la quale bisogna sempre di nuovo affaticarsi e che non è mai posta e risolta definitivamente. Così, a questo punto, neppure io posso offrire propriamente una risposta, ma piuttosto un invito a restare in cammino con questa domanda - in cammino con i grandi che lungo tutta la storia hanno lottato e cercato, con le loro risposte e con la loro inquietudine per la verità, che rimanda continuamente al di là di ogni singola risposta.
Teologia e filosofia formano in ciò una peculiare coppia di gemelli, nella quale nessuna delle due può essere distaccata totalmente dall’altra e, tuttavia, ciascuna deve conservare il proprio compito e la propria identità. È merito storico di san Tommaso d’Aquino - di fronte alla differente risposta dei Padri a causa del loro contesto storico - di aver messo in luce l’autonomia della filosofia e con essa il diritto e la responsabilità propri della ragione che s’interroga in base alle sue forze. Differenziandosi dalle filosofie neoplatoniche, in cui religione e filosofia erano inseparabilmente intrecciate, i Padri avevano presentato la fede cristiana come la vera filosofia, sottolineando anche che questa fede corrisponde alle esigenze della ragione in ricerca della verità; che la fede è il "sì" alla verità, rispetto alle religioni mitiche diventate semplice consuetudine. Ma poi, al momento della nascita dell’università, in Occidente non esistevano più quelle religioni, ma solo il cristianesimo, e così bisognava sottolineare in modo nuovo la responsabilità propria della ragione, che non viene assorbita dalla fede. Tommaso si trovò ad agire in un momento privilegiato: per la prima volta gli scritti filosofici di Aristotele erano accessibili nella loro integralità; erano presenti le filosofie ebraiche ed arabe, come specifiche appropriazioni e prosecuzioni della filosofia greca. Così il cristianesimo, in un nuovo dialogo con la ragione degli altri, che veniva incontrando, dovette lottare per la propria ragionevolezza.
La Facoltà di filosofia che, come cosiddetta "Facoltà degli artisti", fino a quel momento era stata solo propedeutica alla teologia, divenne ora una Facoltà vera e propria, un partner autonomo della teologia e della fede in questa riflessa. Non possiamo qui soffermarci sull’avvincente confronto che ne derivò. Io direi che l’idea di san Tommaso circa il rapporto tra filosofia e teologia potrebbe essere espressa nella formula trovata dal Concilio di Calcedonia per la cristologia: filosofia e teologia devono rapportarsi tra loro "senza confusione e senza separazione". "Senza confusione" vuol dire che ognuna delle due deve conservare la propria identità. La filosofia deve rimanere veramente una ricerca della ragione nella propria libertà e nella propria responsabilità; deve vedere i suoi limiti e proprio così anche la sua grandezza e vastità. La teologia deve continuare ad attingere ad un tesoro di conoscenza che non ha inventato essa stessa, che sempre la supera e che, non essendo mai totalmente esauribile mediante la riflessione, proprio per questo avvia sempre di nuovo il pensiero. Insieme al "senza confusione" vige anche il "senza separazione": la filosofia non ricomincia ogni volta dal punto zero del soggetto pensante in modo isolato, ma sta nel grande dialogo della sapienza storica, che essa criticamente e insieme docilmente sempre di nuovo accoglie e sviluppa; ma non deve neppure chiudersi davanti a ciò che le religioni ed in particolare la fede cristiana hanno ricevuto e donato all’umanità come indicazione del cammino. Varie cose dette da teologi nel corso della storia o anche tradotte nella pratica dalle autorità ecclesiali, sono state dimostrate false dalla storia e oggi ci confondono. Ma allo stesso tempo è vero che la storia dei santi, la storia dell’umanesimo cresciuto sulla basa della fede cristiana dimostra la verità di questa fede nel suo nucleo essenziale, rendendola con ciò anche un’istanza per la ragione pubblica. Certo, molto di ciò che dicono la teologia e la fede può essere fatto proprio soltanto all’interno della fede e quindi non può presentarsi come esigenza per coloro ai quali questa fede rimane inaccessibile. È vero, però, al contempo che il messaggio della fede cristiana non è mai soltanto una "comprehensive religious doctrine" nel senso di Rawls, ma una forza purificatrice per la ragione stessa, che aiuta ad essere più se stessa. Il messaggio cristiano, in base alla sua origine, dovrebbe essere sempre un incoraggiamento verso la verità e così una forza contro la pressione del potere e degli interessi.
Ebbene, finora ho solo parlato dell’università medievale, cercando tuttavia di lasciar trasparire la natura permanente dell’università e del suo compito. Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere, che nell’università sono valorizzate soprattutto in due grandi ambiti: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia; in secondo luogo, nelle scienze storiche e umanistiche, in cui l’uomo, scrutando lo specchio della sua storia e chiarendo le dimensioni della sua natura, cerca di comprendere meglio se stesso. In questo sviluppo si è aperta all’umanità non solo una misura immensa di sapere e di potere; sono cresciuti anche la conoscenza e il riconoscimento dei diritti e della dignità dell’uomo, e di questo possiamo solo essere grati. Ma il cammino dell’uomo non può mai dirsi completato e il pericolo della caduta nella disumanità non è mai semplicemente scongiurato: come lo vediamo nel panorama della storia attuale! Il pericolo del mondo occidentale - per parlare solo di questo - è oggi che l’uomo, proprio in considerazione della grandezza del suo sapere e potere, si arrenda davanti alla questione della verità. E ciò significa allo stesso tempo che la ragione, alla fine, si piega davanti alla pressione degli interessi e all’attrattiva dell’utilità, costretta a riconoscerla come criterio ultimo. Detto dal punto di vista della struttura dell’università: esiste il pericolo che la filosofia, non sentendosi più capace del suo vero compito, si degradi in positivismo; che la teologia col suo messaggio rivolto alla ragione, venga confinata nella sfera privata di un gruppo più o meno grande.
Se però la ragione - sollecita della sua presunta purezza - diventa sorda al grande messaggio che le viene dalla fede cristiana e dalla sua sapienza, inaridisce come un albero le cui radici non raggiungono più le acque che gli danno vita. Perde il coraggio per la verità e così non diventa più grande, ma più piccola. Applicato alla nostra cultura europea ciò significa: se essa vuole solo autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni e a ciò che al momento la convince e - preoccupata della sua laicità - si distacca dalle radici delle quali vive, allora non diventa più ragionevole e più pura, ma si scompone e si frantuma.
Con ciò ritorno al punto di partenza. Che cosa ha da fare o da dire il Papa nell’università? Sicuramente non deve cercare di imporre ad altri in modo autoritario la fede, che può essere solo donata in libertà. Al di là del suo ministero di Pastore nella Chiesa e in base alla natura intrinseca di questo ministero pastorale è suo compito mantenere desta la sensibilità per la verità; invitare sempre di nuovo la ragione a mettersi alla ricerca del vero, del bene, di Dio e, su questo cammino, sollecitarla a scorgere le utili luci sorte lungo la storia della fede cristiana e a percepire così Gesù Cristo come la Luce che illumina la storia ed aiuta a trovare la via verso il futuro.
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martedì 8 gennaio 2008
Pulcinella dixit
La lega nord ha fatto sapere per bocca di Bobo il sassofonista, alias Maroni l' onorevole, che "il nord non intende ricevere i rifiuti di Napoli"; la cosa lascia molto perplessi pensando che molte delle merci importate a Napoli e nel Sud sono prodotte al nord (packaging compreso)... quindi i rifiuti di Napoli altro non sono che i rifiuti del nord. Pulcinella di Acerra ha già chiesto che i rifiuti del nord siano giustamente rispediti lì, da dove sono venuti...In caso contario Pulcinella promette il blocco delle importazioni dal nord, e dei profitti sulla vendita delle merci al sud, per la salvaguardia ambientale di Napoli e del mezzogiorno.
Parola di Pulcinella.
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mercoledì 2 gennaio 2008
Più rifiuti, meno efficienza aziendale
Le analisi degli ultimi anni mostrano senza indugi una pericolosa correlazione positiva fra crescita del PIL e crescita dei rifiuti/scarti di lavorazione. La crecita dei rifiuti è particolarmente impennata negli ultimi anni mostrando una particolare vocazione allo scarto. La maggiore penalizzazione si avrà in quei paesi che non hanno avviato una politica del riciclo integrato nel ciclo produttivo.
In ambito industriale le ISO 14000 risultano ancora scarsamenet impiegate in Italia, ovvero adottate solo in operazioni di facciata, quando esse derivano da un obbligo indiretto nella subfornitura. Il risparmio energetico che è il necessario corollario della teoria del riciclo, non ha trovato ancora un mercato aperto; il fotovoltaico ed il Conto Energia stentano a decollare lì dove manca l' incentivo statale, sintomatico di una cultura industriale statalassistita. Si avverte la mancanza di una cultura d' impresa aperta ed europea, sopratutto nell' ambito della Piccola Media Impresa; il ricambio generazionale in questo settore PMI è lento.
L' artigiano che ha fatto l' impresa giudica il sistema qualità un surplus non richiesto di tecnoburocrazia che appesantisce il lavoro. Insomma se le industrie non mancano decisamente manca la cultura aziendale, senza cui il declino sarà inevitabile.
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