giovedì 29 novembre 2007

L’UTOPIA SEPARATISTA MERIDIONALE

OGGI L’ INDIPENDENZA TERRITORIALE E’ UNA PERICOLOSA UTOPIA, COME LE PRECEDENTI CHE FLAGELLARONO IL SUD: L'UNITA' NEL 1860 E LA REPUBBLICA PARTENOPEA DEL 1799

Spingere i meridionali verso l' utopia separatista, promettendo la terra promessa, è un modo per allontanarli dalla realtà e dalle opportunità concrete esistenti; una "giacobinata" di importazione leghista, che non può che portare ulteriori disastri al nostro sud, ben maggiori dello stato presente. I cambiamenti veri sono quelli che si fanno progressivamente nel tempo con azioni sul territorio meridionale. Il momento attuale è favorevole perchè il nord è un sistema vecchio, non solo demograficamente, ma anche moralmente (tangentopoli ne è una prova); l’ attuale immigrazione di stranieri extracomunitari lo porterà al tracollo perché il nord non ha la dimensione sufficiente, né una tradizione storica adatta per metabolizzare la presenza di culture straniere. E’ strano che dopo 150 anni di forzosa unione nel momento in cui maturavano i tempi per una alternanza meridionale alla egemonia padana, guarda caso ti tirano fuori la questione settentrionale e la voglia di indipendenza e alcuni sprovveduti meridionali ci vanno dietro, con il progetto complementare di secessione del sud.
L' utopia indipendentista è una fesseria in cui non crede neanche la lega, buona solo per depistare gli oppressi meridionali ansiosi di riscatto. Al sud chi sostiene tale idea è inconsapevolmente al servizio della lega, che si è dimostrata al momento il catalizzatore ed il valorizzatore dei peggiori sentimenti antimeridionali in circolazione. Guardando alla storia passata osserviamo incontestabilmente che ogni qualvolta gli intellettuali meridionali si sono lasciati ammaliare dalle utopie forestiere, si sono aperte delle crepe nella nostra società civile, che hanno aperto la porta ai nemici del nostro sud; inutile dire che il conto finale l’ ha pagato il popolo meridionale, più che gli intellettuali. Nella rivoluzione partenopea del 1799 per esempio, i liberi pensatori anelavano ad una costituenda Repubblica giacobina di stampo francese, piuttosto che alla conservazione di una monarchia autoctona basata sull’ alleanza del trono e dell’ altare; per far questo non esitarono a colpire i loro concittadini collaborando con lo straniero. I meridionali riuscirono da soli a liberarsi dell’ esercito francese, ma l’ utopia giacobina rimase insinuata e acquattata come un tarlo nel tessuto sociale meridionale, continuando a rodere la fiducia nelle invidiabili istituzioni autoctone, approfittando anche della politica perdonistica perseguita dai Borbone.
L’ utopia riprese vigore nel 1848 e da quella data in crescendo fino all’ anno fatale, rendendo desiderabile la dipendenza sotto la monarchia piemontese, piuttosto che la conservazione della indipendenza sotto la monarchia autoctona dei Borbone; a partire dal 1860 il popolo meridionale paga, per l’ insensatezza e la codardia dei “liberi pensatori” meridionali.
Dal 1946 finalmente liberi dal regime savoiardo, ci troviamo in una repubblica che ha consolidato la memoria storica di stampo risorgimentale, quindi dopo 150 anni, con i danni che ha provocato al sud, faticosamente metabolizzati al prezzo di una emigrazione biblica di meridionali, gli eredi di chi proponeva 150 anni fa l’ utopia unitarista, vengono ora a proporre il ritorno all’ indipendenza del sud… quanta tardiva bontà…. come se i danni materiali ed umani procurati nel corso di questi ultimi 150 anni al sud si potessero comodamente liquidare come parentesi storica o che ssò con un colpo di spugna.
L’ unità politica odierna per quanto basata su disparità, è più bella di qualsiasi utopia indipendentista, perché è una realtà modificabile dall’ interno con strumenti di cui già disponiamo, forse ci fà difetto la volontà e la consapevolezza della situazione, ma gli strumenti politici ci sono e sono a portata di mano qui ed ora nel 2007, in questa repubblica.


L’ utopia indipendentista meridionale, guarda caso benvista dalla lega, vuole contrabbandare una futura indipendenza meridionale con i diritti reali acquisiti nella repubblica presente ove rappresentiamo la maggioranza delle teste.
Il problema nasce sempre quando si baratta la realtà per una utopia; infatti l’ Unità d’ Italia era nel 1860 una utopia, giustamente da rifiutare a favore della indipendenza delle Due Sicilie che era una realtà legittimata dal consenso internazionale; nel 2007 il Regno d’ Italia retto dai savoia non esiste più, esiste una Repubblica estesa sull’ intero territorio una e indivisibile, come tale legittimata; respingere questa realtà per tornare alle Due Sicilie senza neanche le risorse di allora, si presenta oggi come una utopia; l’ esperienza del passato dovrebbe farci diffidare da questa utopia, poiché il rischio che ne deriverebbe è elevato; si avrebbe infatti l’ instabilità economica per i meridionali delle Due Sicilie, e parallelamente i meridionali al nord sarebbero scippati di colpo dei loro diritti costituendo una artificiale “minoranza etnica” al nord della penisola, non diversamente da come avvenne per gli ebrei italiani nel 1936 all’ indomani delle leggi razziali.
Se finora i meridionali stanziali sono rimasti freddi di fronte al messaggio neoborbonico ciò è dovuto proprio all’ equivoco di non aver dichiarato la rinuncia alla separazione territoriale e la rinuncia alla restaurazione monarchica.
Malgrado l' equivoco generato dalla definizione non possiamo non dirci neoborbonici per rimarcare il legame con il nostro passato. Il valore della memoria storica è questo, aiutarci a non ripetere gli errori del passato; nello specifico non credere nelle utopie che sacrificano lo stato presente magnificando il futuro.

venerdì 23 novembre 2007

Indiscrezione sul risarcimento

Per ammissione stessa di Filiberto, il "risarcimento" andrebbe a finanziare una fondazione, intitolata allo stesso rampollo reale, creata ufficialmente per scopi benefici a favore dei cittadini più svantaggiati... stando alle ultime escursioni in terra calabrese c' è da credere che i beneficiari di tanta generosità starebbero a Sud dello stivale, da sempre luogo favorito per gli attacchi dall' esterno e per lo scambio di voti . Risulta pure che Filiberto prenderà dimora definitivamente in Italia a partire dal 2008; non è difficile prevedere a questo punto che egli stia preparando il terreno per una candidatura politica...
Mai come ora l' Italia avrebbe avuto bisogno di consapevolezza storica per affrontare la situazione, e respingere il passato che ritorna.
Intanto Filiberto è stato visto qualche giorno fa a vistare una fiera zootecnica a Codogno (Lodi) dispensando la sua regale presenza anche a bovini e suini.

giovedì 22 novembre 2007

Savoia risarcite Gaeta (di Antonio Ciano)


Abbiamo assistito in questi ultimi anni alle reiterate richieste del signor Vittorio Savoia e a quelle di suo figlio Emanuele Filiberto di poter ritornare in Italia. Radio, televisioni, quotidiani, settimanali, mensili, quasi tutti a cantar messe di mezzanotte, quasi tutti a favore di quei "poverini" in esilio e quasi tutti col dire:" Chiudiamo i conti col passato, che c'entrano i figli e i nipoti col l'infamia dei loro nonni e bisnonni?". Il caso è finito persino al Parlamento europeo e sia la destra che la sinistra sembrano aver scordato la storia. Noi no.La rivendicazione degli ebrei all'ottenimento del rispetto universale parte dai terrificanti numeri dei deportati e dei morti dell'olocausto. Terrificanti e raccapriccianti per l'entità. Qui si parla di milioni; non di bruscolini ma di esseri umani. E tutto l'occidente, riconoscendo la bontà delle rivendicazioni ebraiche, si schiera dalla loro parte e cerca di tributare, nei limiti del consentito, i risarcimenti possibili ( oltre alla caccia agli ultimi carnefici sopravvissuti).Per quanto riguarda la " questione Savoia" il ragionamento dovrebbe essere analogo, a condizione che si potessero conoscere i numeri riguardanti:
1) I morti procurati al Sud con l'invasione barbarica del 1860, quella piemontese appunto; i deportati, i torturati, i fucilati o fatti morire di fame, di freddo e di stenti nei dieci anni e passa di repressione sanguinaria fatta chiamare dai sabaudi " repressione del brigantaggio".
2) I beni depredati al Sud e trasportati nel Piemonte: ricchezze finanziarie, culturali, sociali, sottratte con la forza dai vincitori. Il solo Vittorio Emanuele II, secondo Silvio Bertoldi nel suo libro Il re che fece l'Italia, racconta delle ricchezze personali accumulate dal sovrano e tenute in cassaforte, qualcosa come 250 mila miliardi attuali. ( Liberazione, giornale comunista, intervista a Lorenzo del Boca, anno 2002, martedì 24 dicembre, pag 21 ).3) Gli emigranti diasporati in tutto il mondo per sfuggire alla fame, alla miseria e all'oppressione delle orde piemontesi; ossia milioni di persone disperse in tutte le latitudini.4) miliardi incalcolabili di dollari, sterline, pesos, bolivar, escudos, marchi, franchi, procurati ai boiardi liberali, capitalisti e massoni del Nord, nell'arco di un secolo ed oltre. Le rimesse degli emigranti, sicuramente più voluminose del Vesuvio, dell'Etna e dello Stromboli messe assieme, sono finite tutte nelle tasche dei predoni padani, totali detentori dei mezzi di produzione. Il Sud, privilegiato bacino di mercato dei magnaccia del Nord liberale, liberista, libertario e piduista, condannato alla miseria dopo quella barbara invasione, ma, soprattutto alla disacculturazione più feroce, sta leccandosi ancora le ferite inferte dalla bestialità savoiarda.5) I morti delle guerre coloniali; i morti di operai e contadini nelle varie repressioni a favore del capitalismo ( cattolici, socialisti, comunisti uccisi dai vari Bava Beccaris), quelli provocati dalle cannonate sulla Sicilia del 1866, quelli procurati dalla bestiale legge Pica e quelli della tassa sul macinato, quelli della prima e seconda guerra mondiale. Se proprio certuni vogliono dare i numeri, dovrebbero riuscire a dare quelli su richiamati. E se ci riuscissero ( impresa sempre fallita da chi ha tentato di farlo, poiché si splafona nelle miriadi) farebbero un buon servizio al popolo Meridionale e scoprirebbero che le cifre vanno oltre quelle, maledette, dell'olocausto.Nessuna persona di media intelligenza sarebbe disposta, in età moderna, a condividere la tesi secondo la quale le colpe dei padri debbano ricadere sui figli; ma tutti sarebbero d'accordo nel sostenere che i figli devono pagare i debiti o i risarcimenti dovuti per le colpe dei padri, dal momento che ne accettano l'eredità. Accettazione di eredità significa accettazione di onori ed oneri dei genitori. O no? Figlio di gatto prende topo.In merito a questo olocausto del Sud, chi paga? Chi risarcisce? Quando si è trattato di prendere, lo han fatto tutti i barbari del Nord; ora che la mucca è munta, i Bossi e i Berlusconi tentano la fuga con le secessioni o le devoluzioni di maniera. L'annessione dell'Italia della civiltà ( quella di Parmenide, di Archimede, di Zenone), operata dalle orde barbariche delle ex province di Roma, secondo alcuni ha dato vita all'unità. L'unità fatta dai Galli. Dabbenaggine o incultura? L'Italia di Pitagora, quella dei numeri, è stata cancellata dalle menti e dai cuori di certi meridionali felloni. Ne hanno fatto uso i Crucchi e i Longobardi che sanno fare bene i loro conti, pagati dal Sud. C'è sempre chi crede alle favole, come certo Benito Mussolini, stampella dei Savoia, che avendo chiamato i veri italici a difendere la patria, nell'ora della pugna, se li vide arrivare in Sicilia, a Salerno e ad Anzio. Tutti figli di meridionali diasporati in America dai Savoia. Arrivarono ( eccome!) gli italici, e Sciaboletta fuggì, come si conviene ad un re Savoia.I conti non tornano, e se non tornano i conti perché dovrebbero tornare i re? I diritti umani valgono solo per Sua Maestà? Quei diritti non valevano anche per i Borbone fatti morire all'estero? Mai i Savoia permisero il rientro in Italia di Francesco II?Come vediamo si tratta sempre di numeri: milioni di ebrei morti nell'olocausto, milioni di morti a causa dei Savoia per costruire artatamente la loro Italietta, migliaia di contadini ed operai cattolici scannati nella lotta partigiana chiamata "Brigantaggio" da quei felloni, delinquenti e criminali di guerra; migliaia di partigiani comunisti nella lotta di liberazione dal regime savoiardo e fascista nel 1943-45; milioni di emigranti, miliardi di rimesse.Allora ci chiediamo: chi si è schierato per il rientro dei Savoia è a conoscenza di dette cifre? Ci dispiace, ma, con tutta la stima che portiamo a certi estensori di articoli e a certi telecronisti che si sono schierati, certamente per ordine del Grande Vecchio , a favore del rientro dei Savoia, non possiamo non bocciarli, non in Storia, che forse conoscono molto bene, ma in matmatica, ce lo impone la nostra cultura italica: quella di Pitagora. È solo questione di numeri.Intanto il comune di Gaeta sta attivandosi nel chiedere i danni di guerra del 1860-61 a casa Savoia, in quanto il Piemonte non ha mai dichiarato guerra al Regno delle due Sicilie, quando subì un assedio micidiale da parte delle truppe piemontesi causando cinquemila morti tra militari e civili, causando lutti e rovine ( la città completamente rasa al suolo), oltre trecento ettari di terreno completamente dissestati per far posto alla truppa savoiarda; oltre centomila ulivi tagliati per scaldare i soldati assalitori; la morte economica della città allora prospera e vitale, tutti i beni demaniali ed ecclesiastici sequestrati. I danni furono contabilizzati in 2 milioni di lire del tempo oggi equivalenti e 212 milioni di euro.
Antonio Ciano
Assessore al Demanio e Patrimonio del comune di Gaeta

mercoledì 21 novembre 2007

Te lo do io il risarcimento....



Sebbene gli avvocati dei due figuri hanno consegnato la richiesta ufficiale al presidente Napolitano e all' on. Prodi il 23 ottobre scorso, stasera nel programma ballarò su RAI3 è stato dato l' annuncio più articolato e completo.... I Savoia padre e figlio chiedono i danni all' italia per il loro forzato esilio!!!
Bonanni segretario CISL presente in trasmissione ha liquidato subito la richiesta ricordando che a loro volta "i Borbone furono invasi dai Savoia senza dichiarazione di guerra" anticipando le rimostranze legittime dei meridionali.


A questo punto riteniamo che ogni meridionale emigrato al nord italia o all' estero di prima e seconda generazione, appunto come Vittorio Emanuele e il figlio Filiberto, possono altrettanto richiedere allo stato italiano, che si rivarrà poi sugli eredi Savoia, i danni morali per il forzato esilio cui sono stati costretti a causa della disoccupazione endemica del Sud.


Alla luce delle recenti disposizioni passate nella legge finanziaria 2008, da pochi giorni, sarebbe possibile chiedere addirittura una "class action" , ovvero una azione legale collettiva degli emigrati meridionali.

martedì 20 novembre 2007

Draghi ammonisce : nessuna stabilità di crescita senza decollo del Sud

(ansa.it) BRESCIA - Quella scaturita dai mutui subprime Usa "non è una crisi ma sono turbamenti" dei mercati finanziari internazionali, secondo il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi e l'Italia subisce danni minori rispetto alle vicissitudini degli anni '80 e '90 grazie allo "'scudo dell'euro". Per crescere stabilmente il nostro paese deve tuttavia risolvere il problema del Sud Italia che rappresenta "un freno". Draghi interviene per la prima volta in maniera esplicita sulle turbolenze dei mercati finanziari e spiega così che si tratta di momenti difficili ma di non voler utilizzare la parola "crisi".
A confortare il governatore anche i dati che arrivano dai bilanci semestrali diffusi dalle banche in questi giorni che mostrano esposizioni, dirette e indirette, nel settore molto limitate. Danni, come ha spiegato il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli possono giungere "dall'onda lunga" che arriva sul sistema economico. L'occasione per fare il punto sulla situazione è stata fornita dal convegno organizzato dall'università di Brescia in memoria dell'economista Riccardo Faini, scomparso di recente, che con Draghi ha condiviso esperienze professionali e umane ricoprendo incarichi presso l'Fmi e la Banca Mondiale.
L'aula magna della facoltà di economia si riempie di accademici e ricercatori amici del professore tra cui un emozionato Francesco Giavazzi, Tito Boeri e i principali esponenti dell'esteso panorama bancario bresciano a partire dal presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli, dei vertici di Ubi Banca Emilio Zanetti e Gino Trombi e dal presidente dell'Abi Corrado Faissola. Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano manda un messaggio.
A questi Draghi cita le riflessioni e le tesi di Faini tra cui quella dei vantaggi dell'adesione alla moneta unica: "pensate cosa sarebbe successo - spiega il governatore - se non ci fosse stato l'euro di fronte agli attuali turbamenti, non la chiamerei crisi, dei mercati finanziari internazionali". Così come l'economista Draghi ritiene che "l'adozione dell'euro non abbia giocato alcun ruolo nei difetti di crescita, produttività e competitività dell'economia italiana. Al contrario effetti positivi sono scaturiti dalla minore variabilità del cambio e, possiamo aggiungere soprattutto oggi, dallo scudo offerto dall'euro nei confronti delle turbolenze finanziarie sui mercati internazionali".
Ma il governatore, traendo spunto dai lavori di Faini sul Mezzogiorno e sulle politiche del lavoro, affronta due altri grandi temi: il decollo del Sud Italia e l'istruzione. Due temi necessari per dare all'Italia quella "crescita di lungo periodo soddisfacente essenziale per l'economia italiana", "non solo per gli ovvi riflessi sulla occupazione e sui redditi ma anche per ridurre la rilevanza economica del debito pubblico e quindi per accrescere la stabilità finanziaria". A frenare l'Italia su questo cammino è così innanzitutto il divario del Sud con il Centro Nord che "frena anche il resto del Paese".
Per Draghi al Mezzogiorno "é più ampio il divario fra risorse disponibili, soprattutto umane, e risultati conseguiti; è più elevato il potenziale di crescita. L'esistenza di un'area così estesa e popolata con un reddito pro-capite pari a meno del 60% di quello del Centro Nord frena anche il resto del paese, ne acuisce i problemi non solo economici". Infine l'istruzione, "leva di primaria importanza per aumentare il potenziale di crescita" dell'economia italiana cui deve peraltro corrispondere una domanda di manodopera qualificata da parte delle imprese con l'instaurazione di un circolo vizioso. Un processo che, riconosce Draghi "sta cambiando" e guarda caso le imprese che assumono lavoratori più istruiti sono quelle con risultati migliori.

lunedì 19 novembre 2007

Il Sud è un peso per l'Italia (di Nicola Zitara)

Secondo il giudizio del governatore della Banca d'Italia, il Sud va considerato un peso per l'Italia. Ovviamente i banchieri vedono le cose dal loro punto di vista, come per altro ciascuno di noi. Il fatto d'avere un punto di vista professionale e limitato non coinvolge soltanto il presente, ma anche il passato, cioè la storia, e specialmente il futuro, cioè le proposte e le scelte politiche.
Quanto al passato, è opinione corrente (quindi non soltanto mia) che l'unità italiana ha risorgimentato la Toscopadana e ha disastrato il Sud. Il Sud ha pagato l'indebito e non è stato mai risarcito del capitale, degli interessi e del danno. Anzi è considerato in debito. Fra i mille indebiti pagamenti che si potrebbero ricordare, ne cito soltanto tre. Primo: la valuta in dollari rimessa degli emigrati in America, per buona parte meridionali, tra il 1885 e il 1914 fu una manna per Genova, Torino e Milano. Con quell'inaspettata risorsa il Nord poté passare dall'agricoltura all'industria. Secondo: a partire dal 1948, il governo del celebrato De Gasperi dette decine di migliaia di operai meridionali al Belgio e alla Germania, perché lavorassero (con bassi salari) nelle miniere di carbone, in cambio di una parte del carbone estratto. Superfluo aggiungere che il carbone serviva alle industrie siderurgiche e meccaniche del predetto Triangolo. Terzo: il successo dell'industria padana negli anni Cinquanta (miracolo economico italiano) fu costruito sui bassi salari dei cinque milioni di contadini emigrati dal Sud. Ma l'emorragia migratoria distrusse l'agricoltura e completò il disastro meridionale, già ben avviato dal signor Cavour - un disastro che è inutile descrivere perché ciascuno di noi lo vive nella carne e nello spirito, assieme ai suoi cari.
Per il Meridione, l'industria padana è economicamente un danno e non un beneficio. Lo sviluppo del Nord, infatti, innalza i salari anche qui, ma poi impedisce che qui si formi un assetto produttivo sufficientemente forte per pagare quei salari.
Venendo al tema, il governatore della Banca d'Italia saprà molto meglio di me che il miglior cliente dei prodotti dell'industria, dell'agricoltura e dei servizi toscopadani non è, come sento dire, la Repubblica Federale Tedesca, ma il Sud italiano. La Toscopadana colloca al Sud una parte rilevante della sua produzione complessiva. Il Sud paga quel che riceve con il lavoro occorrente nella distribuzione, che è una frazione minore (il cosiddetto ricarico) del valore del prodotto. Non si guadagna nulla a produrre un automobile, se non si vende. Chi si occupa della vendita viene remunerato. Fa il suo giusto guadagno. Questo guadagno lo spende dove vive. Lo mette in circolazione. Paga i dipendenti, mantiene la famiglia, paga le tasse, fa la carità. Il dipendente di un supermercato, il cui salario viene pagato con il profitto commerciale realizzato vendendo merci milanesi, mette in circolazione la paga mensile e alimenta il lavoro di altri commercianti che vendono anch'essi merci padane e vivono con i margini che l'industria gli lascia. Il Sud va avanti con questa e con altre poche altre cose. Noi possiamo ingenuamente credere che il medico che ci cura venga pagato con i tributi che il Nord versa allo Stato, ma non è così. Lo paghiamo noi. E siamo noi a pagare tutti i pubblici impiegati che lavorano qui. In termini di vera e onesta economia politica, il Sud dà più di quanto riceve. Infatti paga le merci che consuma a un produttore localizzato in un ambiente in cui il tenore di vita è più alto. E' come se pagasse una sussidio a chi sta meglio. Se il Sud fosse uno Stato indipendente, la stessa merce verrebbe prodotta qui e costerebbe meno, in quanto i salari si adeguerebbero al nostro tenore medio di vita. L'esempio cinese può egregiamente chiarire l'affermazione.
Quando il governatore della Banca d'Italia afferma che il Sud è un peso per l'economia italiana vuole in sostanza significare che il Sud contribuisce alla formazione del Prodotto Interno Lordo soltanto con lo smercio e le riparazioni, mentre non contribuisce a produrre beni nuovi e servizi vendibili. Cioè la media italiana viene abbassata dal Sud. Tecnicamente, il singolo lavoratore meridionale (quando ha un lavoro), pur lavorando più e meglio di altri, non si guadagna il salario che riceve, a causa della bassa produttività imperante nel complessivo assetto meridionale. Cioè, non solo il complessivo lavoro effettivo è un quantità minore di quello potenziale, ma è esplicato in imprese a tecnologia matura, quelle imprese, cioè, che non realizzano un alto valore aggiunto. Con il magna magna che ci fu in Irpinia per la ricostruzione post terremoto, ci si rese conto che a ogni occasione di intervento speciale si ripeteva quel che era avvenuto prima con la Cassa per Mezzogiorno: i soldi andavano al Nord. Per dare lavoro al Sud sarebbe stato necessario delocalizzare l'industria padana. Forse la cosa si sarebbe realizzata se non fossero arrivate le privatizzazioni decise a livello europeo. A questo punto sono sopravvenute due novità. Prima, l'intervento pubblico è stato cancellato. Seconda, le banche commerciali battono moneta come se fossero delle banche centrali.
Il governatore della Banca d'Italia ha mille ragioni a dire che il Sud non contribuisce fattivamente alla formazione del Prodotto interno. Ma il Sud ne ha diecimila di ragioni sia contro la Banca d'Italia sia contro il Triangolo industriale sia contro chi ha governato lo Stato italiano dal 1860 ad oggi. L'inoccupazione, la mancanza di una possibilità di lavoro, sta al centro del disastro meridionale. Su cento persone in età di lavoro, al Sud hanno un lavoro meno di 40, mentre al Nord vige la piena occupazione. Anzi il lavoro è tanto che viene aperto ogni pertugio perché arrivi in Italia gente disperata, in cerca di pezzo di pane. In sostanza tutti i paesi europei si danno da fare per copiare gli Stati Uniti che, aprendo la valvola dell'immigrazione, tengono calmi i salariati. Il passaggio dalla piena occupazione borbonica alla stabile inoccupazione italiana ha la sua fonte innaturale nella centralizzazione del rischio bancario a favore delle regioni del Triangolo. Il Sud borbonico disponeva di una banca d'emissione parecchie volte più forte della somma di tutte le banche esistenti nella penisola. Questa banca finanziava l'industria pubblica e privata, e lo sviluppo della marina mercantile anticipando soldi allo Stato. Il sistema era onesto, in quanto lo Stato restituiva l'oro che la banca gli aveva prestato. Con l'unità d'Italia si è passati dall'oro alla carta, e siccome la carta si stampa, la banca centrale assunse rischi ben maggiori che in passato e anticipò soldi prodotti in tipografia.
Il rischio bancario è la stessa cosa che il credito bancario a favore di imprese che presentano un elevato margine di pericolosità - una cosa assolutamente normale in un paese industriale. Nell'Italia unita queste operazioni sono state coperte dalla banca di emissione (che prestava carta alle banche commerciali), cioè dalla Banca d'Italia, con una specie di privilegio regionale. Si pensi alla Fiat, salvata dieci volte dalle banche, a Telecom, alla Parmalat. In passato, senza l'esplicito o il tacito assenso del banchiere centrale, nessuna impresa bancaria si sarebbe ingolfata di titoli obbligazionari e azionari. Infatti è il banchiere centrale che prefinanzia i nuovi investimenti aggiungendo altra carta a quella che è già in circolazione, in pratica generando inflazione (dal 1860 al 2001 la lira si è svalutata diecimila volte), oppure intervenendo a cose fatte, per coprire imprudenze bancarie già commesse, come sta avvenendo in questi giorni in America, e non solo lì.
Queste procedure sotterranee hanno avuto decine di migliaia di applicazioni al Nord e solo qualcuna al Sud. Oggi la Banca d'Italia non ha più potere d'emissione. A emettere moneta fittizia sono le stesse banche commerciali, le quali imbrogliano il pubblico, i loro azionisti, la Banca centrale europea e persino se stesse (il capitale di maggioranza). Si tratta di procedure illecite. Eppure senza questi giochi non si fa capitalismo, cioè non si creano e non si lanciano sul mercato imprese di medie e grandi dimensioni. Tutti lo sanno, tutti lasciano fare, ma nessuno lo ammette.
La convivenza con questa Toscopadana, chiusa sui suoi interessi e sorda agli interessi generali, è risultata perdente per il Sud sin dal giorno che Garibaldi mise piede in Sicilia e i fautori dell'unità sollevarono la peggiore feccia del Meridione per consegnarlo, mani e piedi legati, ai maneggi degli affaristi di Genova e Firenze. E oggi perdenti sono, altresì, tanto l'idea di un capitalismo meridionale, quanto l'idea di portare il capitalismo padano all'uso corretto del libero mercato. L'appassionata perorazione di Bebbe Grillo contro i politici e contro gli intrallazzi del sistema confindustriale che, dopo aver scannato il Sud, ha messo mano a scannare anche il Nord, se pure avesse qualche successo, non modificherebbe certamente la condizione d'inoccupazione di cui soffre il Sud. D'altra parte il capitalismo ha fatto il suo tempo. In presenza dei problemi ambientali, che emergono a cascata un giorno dopo l'altro, l'iniziativa del privato capitalista, che in teoria, facendo il proprio tornaconto, farebbe l'interesse di tutti, è archiviata per sempre, allo stesso modo che è archiviata per sempre l'usanza di partorire nella propria casa e nel proprio letto, con la semplice assistenza dell'ostetrica condotta. Il Sud, se proprio vuole partecipare alla produzione, al fine di uscire dall'inoccupazione secolare, è necessario che prima torni a essere libero e indipendente.

(Nicola Zitara)

domenica 18 novembre 2007

Ricominciamo da Gaeta


Il 14 di febbraio 1861 salpava dal porto di Gaeta l' ultimo Re delle Due Sicilie, portava con sè la dignità del popolo meridionale e inaugurava la diaspora dei meridionali; la lettera scritta pochi mesi prima in occasione della festa dell' Immacolata Concezione, in una casamatta del forte di Gaeta racchiude il testamento spirituale di Francesco II; i suoi contenuti sono tuttora attuali e chiunque la legga non può che provare una emozione profonda.

Ebbene dopo circa 150 anni la stessa città che ha visto la disfatta meridionale diventerà punto di partenza per il nuovo sud, a rimarcare la chiusura di un ciclo negativo e l' inizio di uno positivo per la nostra terra.
Voglia la Santa Vergine assisterci nella nostra opera.